LA TEOLOGIA BIBLICA OGGI

Orientamenti e sfide

Massimo Grilli

Pontificia Università Gregoriana (Roma)

ma_grilli@hotmail.com

Riassunto: Questa proposta si muove in un contesto ermeneutico globale e presenta sia una riflessione teorica sulla Teologia Biblica in sé, che un tentativo di teologia del Nuovo Testamento sviluppata in dialogo con l’Antico. Dove sta andando la Teologia Biblica e cosa ci aspetta per il futuro dopo il grosso cambiamento antropologico culturale dell’ultimo secolo? L’Autore propone l’elaborazione di una Teologia Biblica in un prospettiva dia-logica e cioè che cerca l’unità della Scrittura non a livello di un sistema metafisico ma di una polifonia di voci che interagiscono tra di loro, soprattutto le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Parole chiavi: Bibbia ebraica. Bibbia cristiana. Canone. Unità della Scrittura. Teologia Biblica. Rapporto Antico – Nuovo Testamento. Ermeneutica.

Biblical Theology Today

Guidelines and Challenges

Abstract: This proposal moves in a global hermeneutic context and presents both a theoretical reflection on Biblical Theology itself, and an attempt at a New Testament theology developed in dialogue with the Old Testament. Where is Biblical Theology going and what awaits us in the future after the great cultural change of the last century? The Author proposes the elaboration of a Biblical Theology in a dia-logical perspective, that is, that seeks the unity of Scripture not at the level of a metaphysical system but in a polyphony of voices that interact with each other, especially the voices of the Old and the New Testament.

Keywords: Hebrew Bible. Christian Bible. Canon. Unity of Scriptures. Biblical Theology. Relationship between Old and New Testament. Hermeneutics.

È stato detto giustamente che la Teologia biblica (TB) è una e molteplice, nel senso che può essere presentata in tante forme. Io ho scelto di incastonare la mia riflessione in un quadro ermeneutico più globale, che concerne sia una riflessione teorica sulla TB in sé, sia una lettura della teo­logia del Nuovo Testamento in dialogo con l’Antico.

Per questo motivo, articolo il mio intervento in due momenti. Nel primo porrò in evidenza alcuni aspetti fondamentali della situazione in cui versa oggi la TB (sia dell’AT sia del NT). Nel secondo proporrò una categoria metodologica per rispondere alle sfide attuali1.

1. La teologia biblica nel contesto culturale odierno

Sono passati diversi secoli dal giorno in cui Gabler, iniziando un dis­corso critico sul rapporto tra TB e Teologia Sistematica (TS), si augurava che la TB, di fronte alla mutevolezza delle scienze umane che impregnano la dogmatica, potesse rimanere “sempre identica a sé stessa”, in quanto essa “presenta solo ciò che i sacri autori hanno pensato sulle cose che riguardano la religione e non cerca di adattare questo al nostro modo di pensare”2.

Di fatto, la TB – anche se su un piano diverso dalla dogmatica – non può non misurarsi con le istanze culturali del tempo. Lo si comprende dalla storia della disciplina.

Alla sfida illuminista che ha segnato la TB del NT nel diciottesimo secolo, è seguita la visione positivista, che da una parte ha riportato la TB nell’alveo della storia (Cullmann, Jeremias, ecc.), dall’altra – per una sorta di contrappasso – ha prodotto un movimento teologico-biblico di separazione e alternativa tra storia e fede (Bultmann e la scuola da lui fondata). Questo doppio binario, storico-critico e kerygmatico-esistenziale ha dominato parte del secolo diciannovesimo e quasi tutto il secolo ventesimo, con frutti innegabili, ma anche con eccessi pericolosi e devianti.

1.1. Il contesto culturale

Ecco allora la domanda: dove siamo oggi? E cosa ci aspetta per il futuro? Per comprendere dove stia andando oggi la TB è necessario, a mio parere, ritornare agli ultimi decenni del secolo appena trascorso. Dagli anni 70-80 del secolo scorso si è verificato un grosso cambiamento strutturale e culturale, che riguarda la società, ma anche la visione antropologica e biblico-teologica. La metafora più consona a descrivere questo cambiamento è forse quella che troviamo a conclusione del romanzo Il nome della rosa, che viene alla luce proprio negli anni 803. Il frate Guglielmo e il novizio Adso, dopo intrighi di diverso genere, sospetti e omicidi, stanno finalmente per arrivare a scoprire il mistero che si nasconde nel monastero dove vivono da qualche tempo, quando improvvisamente il vecchio monaco Jorge provoca un incendio che nessuno riuscirà a domare e che inghiottirà nel fuoco l’intera abbazia. Adso e il suo maestro partono dal monastero in mezzo a un mucchio di macerie... Il monastero simbolo della verità ultima metastorica e metafisica, immagine della solidità culturale e teologica

... si sgretola.

In quegli stessi anni in cui viene alla luce il romanzo di Umberto Eco, il filosofo francese Jean Francois Lyotard (1925-1998) descrive l’epoca attuale come un tempo caratterizzato dal venir meno di principi metafisici, ideologici, religiosi che avevano segnato l’epoca moderna. Viene meno insomma la fiducia nei sistemi di pensiero dal sapere certo e incontrastato, viene meno la fiducia nelle leggi dogmatiche, immutabili (anche di carattere economico)4.

Zygmunt Bauman ha coniato una fortunatissima espressione per des­crivere la situazione filosofico-culturale in cui stiamo vivendo: società liquida5, una metafora appropriata che presenta il nostro mondo frammentato e fluttuante, in opposizione ai sistemi di valori universalmente riconosciuti che caratterizzavano invece il novecento, con le sue ideologie, i partiti nazionali e i principi morali inalienabili. Illuminismo, Storicismo, Marxismo, Liberismo... tutti i sistemi di pensiero che impongono una visione definitiva della realtà o saperi certi e incontrastati, leggi immutabili di pensiero e di mercato... si sono (o si stanno) sgretolando e la stessa forza dogmatica della fede viene meno. Non sto dando ovviamente un giudizio di valore, ma descrivendo una visione del mondo che sta segnando l’esegesi e la teologia.

1.2. L’ambito delle scienze bibliche

In quegli stessi anni 70-80, infatti, viene vivamente contestato il metodo storico-critico, che aveva dominato per più di cento anni il panorama esegetico, ed emergono i nuovi metodi letterari, dove le istanze narrative, semiotiche e retoriche, insieme alle tante prospettive ermeneutiche, diventano un mosaico di riferimento vario e articolato. Il documento della Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993), nel bene e nel male, è insieme frutto e testimone di questo cambio strutturale di natura antropologica, sociologica e teologica. A un metodo (storico-critico, ovviamente), che aveva dominato incontrastato, si affiancano – in qualche caso soppiantandolo – altri metodi e approcci.

Non voglio essere frainteso: questa molteplicità è ovviamente positiva perché libera dal monopolio teologico-culturale dei secoli passati aprendo spazi nuovi e fecondi. E tuttavia, a mio parere, in tutto questo si annidano dei rischi, come quello, ad esempio, di una settorializzazione del sapere e di un continuo processo di precarizzazione che manca di punti di riferimento. Lo stesso documento della PCB è carente di una riflessione globale di natura filosofico-teologica, che sarebbe risultata utile per rendere più accessibile la molteplicità dei metodi e degli approcci.

Un altro elemento strisciante nell’attuale panorama esegetico-teologico (e non solo nei movimenti settari oggi di moda) è quello di assolutizzare l’elemento emotivo, accantonato, o meglio dimenticato dal metodo storico-critico. Il coinvolgimento dell’emozionalità ha l’evidente vantaggio di introdurre una componente importante dell’uomo nel processo ermeneutico, ma con il corrispettivo pericolo di una cultura del “selfie”, dove l’assolutizzazione del soggetto che fa teologia rischia di penalizzare la componente oggettiva. Molto evidente nelle sette fondamentaliste, l’assolutizzazione dell’emozionalità in teologia costituisce il suicidio dell’intelligenza. L’assolutizzazione del proprio punto di vista, con dichiarata o celata chiusura o ignoranza di altre prospettive, conduce all’assolutizzazione del frammento e al disconoscimento della complessità dell’esperienza teologica.

Ovviamente l’analisi della situazione attuale che ho tentato di proporre è parziale e, in qualche modo, funzionale al secondo momento del mio intervento, più propositivo. Voglio dire che siamo ancora in una fase fluttuante, con conseguenze ancora tutte da comprendere, e tuttavia non siamo dispensati dal compito di tentare di intravedere il cammino che ci sta davanti come studiosi di TB.

2. Proposta di una Teologia Biblica secondo uno statuto dialogico

Ecco allora la prospettiva che, a mio parere, dovrebbe informare oggi la TB sia a livello di speculazione che a livello operativo. La espongo con una formula che da molto tempo applico al rapporto tra i due Testamenti, ma che oggi vorrei utilizzare per descrivere la comprensione della TB nel suo complesso. Si tratta dello “statuto dialogico”. Dialogico, nel senso di dia – logos, ossia un rapporto aperto, dinamico, tra (dia) parole (logos), voci, metodi, temi che entrano in scena con le loro identità specifiche e – ecco il punto! – devono entrare in relazione.

Questo significa che fare unità tra i vari autori o tra i diversi libri o tra le diverse visioni teologiche della bibbia rimane una necessità, ma questa unità biblico-teologica non va cercata a livello di insiemi globali, sistematizzati e/o metafisici, ma a livello di una polifonia di voci e di strumenti che interagiscono tra di loro. A mio parere, dunque, è nell’interazione che si costruisce una teologia biblica. In negativo direi che non può definirsi “teologia biblica” un calderone dove autori o testi vengono gettati sull’arena in un amalgama indifferenziato e indistinto. In positivo, provo adesso a presentare alcuni livelli su cui – a mio parere – dovrà espletarsi “la struttura dialogica” della TB de L’uno e l’Altro Testamento6.

2.1. Lo statuto dialogico va anzitutto realizzato a livello di chi fa teologia biblica

Per troppo tempo si è pensato che agli esegeti spetta il compito dell’interpretazione mentre ai teologi spetterebbe il compito di recepire i risultati della ricerca dei biblisti e su di essi costruire il sistema teologico. Questo non solo non è possibile, ma è deviante, perché la reciprocità o (se vogliamo) la circolarità è una componente fondamentale dell’interpretazione del testo e interessa l’esegeta e il teologo. La TB suppone ad un tempo un esegeta che sia anche teologo o, se volete, un teologo che sia anche un esegeta. Prendo in prestito qui le parole di Paul Beauchamp: “Potrebbe essere l’esegeta a fare teologia biblica o il teologo a impossessarsi dell’esegesi (dipende molto dal temperamento delle persone...)”, ma “non si può più dire a qualcuno: ‘Prendi nota, controlla se sono esatti i termini di questo asserto biblico, e poi interpretalo’. Occorre che questo non accada più... lo si pratica ancora, ma tra i più giovani, assai forte è il sentimento che una teologia biblica sia necessaria e che qualcuno, esegeta e teologo a un tempo, debba prendersi cura di questo ‘bambino’, se è possibile”7.

È necessario un nuovo statuto in termini di dialogo tra filosofi, antropologi, esegeti e teologi. Se un individuo potesse raccogliere tutte queste istanze, sarebbe perfetto, ma nella quasi totalità dei casi non è possibile. È necessario che filosofi, teologi ed esegeti, invece di combattersi esclusivizzando la propria disciplina, entrino in dialogo. Mi pare che al momento attuale sia stata superata la tentazione di un’intelligenza della Scrittura secondo un modello dogmatico, ma con Angelo Bertuletti direi che “la teologia è ancora alla ricerca di una teoria in grado di far valere la qualità teo­logica dell’esegesi...”8. Il dialogo, dunque, è assolutamente necessario.

2.2. Un secondo livello in cui deve esprimersi lo statuto dialogico è quello metodologico

Nei secoli passati (da Gabler in poi) la TB ha imboccato strade a senso unico cercando la sua propria identità o nel filone storico-religioso (Wrede) o in quello kerygmatico-esistenziale (Bultmann) o in quello storico-positivo (Jeremias)... Attualmente la TB si è incamminata sul versante letterario, sincronico e canonico, con degli indubbi vantaggi, ma anche con una certa unilateralità che a me sembra rischiosa, almeno quanto l’assolutismo del metodo storico-critico lo era in passato. Vedo oggi il ricorrente pericolo di uno strutturalismo che assolutizza il mondo testuale-letterario-canonico, senza più tener conto dell’aspetto storico.

Parlare di dialogicità a livello metodologico significa allora mettere in relazione il mondo letterario, il mondo storico e il mondo del lettore. Va riconosciuto insomma che la Rivelazione è avvenuta in una storia, che ques­ta storia è diventata testo assumendo forme letterarie di vario genere e che questa rivelazione attestata ha come scopo di mettere in comunicazione e in comunione autore/i e lettore/i al fine di introdurre questi lettori nella verità di Dio. Non bisogna dimenticare nessuno di questi diversi livelli; bisogna cercare invece di farli dialogare senza appiattire i diversi approcci in nome di un assioma superiore. Questo rischio di appiattimento è quello che corre, a mio parere, la teologia biblica di Childs9. Forse l’accusa di “fondamentalismo canonico”, mossagli da Zenger è troppo radicale per essere vera, e tuttavia, nello svolgimento delle varie tematiche di TB (e dunque nella sesta parte della sua voluminosa opera), Childs livella ogni tipo di differenza sembrando preoccupato più di istanze teologiche dogmatiche che di un approccio critico. Si disconosce in qualche modo la qualità polimorfa della teologia biblica e si conferisce all’istanza “canonica” una sorta di funzione di deus ex machina: tranquillizzante, se vogliamo, ma anche depauperante.

2.3. Un terzo livello di dialogo per la TB de L’uno e l’altro Testamento è quello che concerne le diverse teologie presenti in un determinato corpus

Chi apre Primo e Nuovo Testamento si rende immediatamente conto di stare di fronte a una varietà di tradizioni, assemblaggi, forme letterarie, ma anche teologie diversificate e persino contrastanti. In un medesimo libro o in un corpus troviamo una molteplicità di voci che non comprende solo documenti diversi, doppioni, contraddizioni, ma anche una polifonia di toni motivi, contrasti... All’interno del NT, ad esempio, a testi sinottici che presentano “le opere” come istanza di salvezza si contrappongono testi che accentuano invece “la fede” come via di salvezza. Sarebbe semplicistico pensare che i redattori finali non abbiano notato queste tensioni che sono anche all’interno di un corpus e, talvolta, di uno stesso libro. Penso ad esempio al comando di Gesù dato ai discepoli nel Vangelo di Matteo di evangelizzare solo le pecore perdute della casa di Israele (Mt 10,5b-6) e poi, in contrasto, l’invio a tutte le genti (Mt 28,18-20). Walter Kasper ha scritto che la testimonianza biblica resiste a “un’ univocazione sistematica”10. Se la TB vuole parlare della ricerca di unità allora si deve sottolineare che si tratta di un’unità complessa, non sistematica. Compito della TB, allora, non è propriamente quello di esaurirsi nella comprensione di una determinata voce o istanza teologica, e neppure quello di livellare ogni tensione. Compito della TB è l’intelligenza dell’insieme: un’intelligenza organica che non si rassegni all’incompatibilità, ma che sappia comunque integrare l’alterità in un insieme dia-logico.

Con parole di Eric Zenger, si potrebbe anche dire così: “... che tutte le tradizioni bibliche, comprese quelle del NT, siano riferite all’unico Dio, creatore del mondo e Padre di Gesù Cristo, costituisce un dato carico di tensione; un dato che provoca (all’interno del Giudaismo, del Cristianesimo e del rapporto giudeo-cristiano) un conflitto sulla verità di Dio; conflitto che trova una sintesi solo quando ci si lascia impegnare nell’appassionato dialogo a cui conducono le diverse voci bibliche. La chiesa delle origini poteva scegliere tra i diversi libri del Primo Testamento: prenderne alcuni e tralasciarne altri; o poteva correggerli. Se ha preso tutti i libri del canone ebraico, senza modificarne l’ordine o il contenuto, se ha posto gli scritti del NT dopo quelli del Primo... questo non può essere irrilevante per la comprensione della Verità biblica. La canonizzazione delle molteplici voci della Bibbia è la canonizzazione del dialogo intrabiblico sulla verità di Dio”11. L’interprete non può prescindere da questa polifonia e la molteplicità di voci richiede all’interprete una ricerca della Verità che, a mio parere, può essere colta solo mediante una lettura dialogica.

2.4. Un quarto livello in cui dovrà espletarsi lo statuto dialogico concerne la questione principe della TB: il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento

Contro il marcionismo strisciante che attraversa ancora oggi la teologia e la catechesi, l’omiletica e la prassi liturgica, la TB deve riaffermare la dimensione dialogica dei due Testamenti. Cosa significa questo? Come si attua? Marcherei tre possibili piste, riassumendo quanto ho avuto occasione di scrivere in altri momenti12, ma sviluppando contemporaneamente altri aspetti.

2.4.1. Dialogo tra due testimonianze specifiche allo stesso Dio

La lettura dialogica esige da parte dei cristiani la presa di coscienza che l’Antico rende la sua testimonianza su Dio in quanto Primo Testamento: una testimonianza propria, anche se inserita entro il contesto della Bibbia cristiana. Già qualche decennio fa, Zenger affermava: “L’AT è in sé e per sé parola di Dio: parola né provvisoria né preliminare, ma pienamente valida, parola che significa ciò che dice e che merita di essere ascoltata. Né va giudicata per ciò che essa non dice, ma va confrontata con quel che essa dice: nelle sue molteplici parole e figure, questioni e sollecitazioni... In quanto tale essa non è né ‘pre-cristiana’ né ‘sub-cristiana’, come nemmeno ‘a-cris­tiana’ o ‘non-cristiana’. Una parola ‘veterotestamentaria’ è semplicemente ‘cristiana’..., senza per questo cessare di essere ‘ebraica’, anzi al contempo rimanendo, fin dalle sue origini, tale. Un testo ‘veterotestamentario’ non è costretto a ‘giustificarsi’ rispetto al Nuovo Testamento, né dev’essere prima ‘battezzato’ per poter diventare ‘parola di Dio’ per i cristiani”13.

La Parola dell’AT ha una sua propria dignità di Parola di Dio, che non gli viene conferita dal NT. Ciascuno dei due Testamenti rende una tes­timonianza specifica al Dio di Gesù Cristo. Questo significa forse che il punto unificante i due Testamenti non è la cristologia, ma la teo-logia “quale discorso su Dio e a Dio nella sua dedizione esperita o ricercata al suo popolo Israele e al mondo come sua creazione... A partire da questa pros­pettiva teocentrica si può guardare la Bibbia nel suo complesso e nei suoi singoli passi come contestualizzazione della parola di ‘Dio’. Ciò vale sia per la Bibbia ebraica sia per quella cristiana”14.

Il problema è certamente complesso. Molti autori fanno notare che è lo stesso NT a trasformare il senso originario dell’Antico, reinterpretandolo in chiave cristologica. In questa linea, l’interpretazione cristiana ha spesso assunto un testo del Primo Testamento senza tenere affatto conto della lettura ebraica, come se esso fosse “semplicemente” un testo cristiano. Eppure, tutti oggi ci rendiamo conto – tanto per fare un esempio – che l’interpretazione cristologica (e più ancora quella mariologica) di Gn 3,15 non corrisponde sic et simpliciter alla verità del testo. In questo quadro, la definizione di “protovangelo”, data al passo in questione, risulta piuttosto ambigua, anche se è stata utilizzata spesso dalla tradizione della chiesa.

2.4.2. Dialogo tra lettura ebraica e lettura cristiana

C’è un secondo aspetto che deriva direttamente da quanto ho appena detto e che concerne specificamente il dialogo tra lettura ebraica e lettura cristiana. la lettura cristiana della Bibbia.. Lo esprimo con le parole del documento che la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha emanato allo scadere del 2015 e che porta il titolo “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Questo documento attesta che coesistono due modi di leggere le Scritture ovvero “l’esegesi cristologica dei cristiani e l’esegesi rabbinica di quella forma di ebraismo che ebbe uno sviluppo storico” dopo la distruzione del tempio nell’anno 70 e che portò i rabbini, sulla scia dei farisei, ad attivare una particolare comprensione di intendere le Scritture. “Tuttavia, dato che la Chiesa cristiana e l’ebraismo rabbinico post-biblico si svilupparono in parallelo, ma anche in una reciproca opposizione ed ignoranza, non è possibile trovare una risposta... basandosi soltanto sul Nuovo Testamento. Dopo secoli di contrapposizioni, il dovere del dialogo ebraico-cattolico è ora quello di far interloquire tra loro questi due nuovi modi di leggere le Scritture bibliche, per individuare la ‘ricca complementarietà laddove esiste ed “aiutarci vicendevolmente a svis­cerare la ricchezza della Parola’”15. Questo significa dunque riconoscere che “la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile... ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente ad essa”16.

Già da diversi anni e prima ancora degli ultimi documenti ecclesiali sull’argomento, i teologi più sensibili a questo argomento mettevano in risalto che dalla “prae-positio” della Bibbia d’Israele all’interno della Bibbia cristiana, doveva seguire una comprensione non cristologica dell’AT e che la lettura che gli autori del NT fanno della Bibbia ebraica è una lettura “ulteriore” degli stessi libri17. Si può anche dire che le Scritture di Israele (così come Israele le comprende) hanno un valore permanente, che non può essere annullato dalla successiva interpretazione cristiana.

Soprattutto dal tempo di Bultmann si è affermata una sostanziale svalutazione ermeneutica dell’AT, sopravvalutando la comprensione del Nuovo Testamento in chiave ellenistica. Si accentuò l’importanza dell’ambiente ellenistico come chiave ermeneutica del messaggio neotestamentario. La sopravvalutazione dell’ambiente culturale ellenistico ha portato a un allontanamento dalle radici. Ma direi che anche una certa esegesi tipologica – o forse è meglio dire allegorica – ha portato talvolta ad un allontanamento dalle radici e a una relativizzazione della Parola di Dio nell’Antico Testamento. Oggi, fortunatamente si assiste alla riscoperta dell’ebraicità di Gesù e alla rivalutazione ermeneutica dell’ambiente ebraico in cui Gesù è vissuto e ha operato. Dalla comparsa, nel 1985, del documento Sussidi per una corretta presentazione di Ebrei e Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della chiesa cattolica, da parte del “Segretariato per l’unione dei cristiani”, l’ebraicità di Gesù ha costituito sempre di più l’orizzonte ermeneutico per rileggere il suo insegnamento, le sue prese di posizione, la sua polemica con i gruppi giudaici...: un dato che, inspiegabilmente, era quasi scomparso dalla tradizione e che va, invece, sempre più recuperato. Dunque, la comprensione che il NT ha della Bibbia ebraica non è alternativa, perché ambedue le letture offrono una “prospettiva ermeneutica” che richiede una relazione dialogica. La sfida che sta davanti alla TB è proprio questa: far dialogare la lettura rabbinica e la lettura cristiana delle stesse Scritture.

2.4.3. Chiesa ed ebraismo nel mistero dell’agire divino

La lettura dialogica o – per esprimerci con le categorie di E. Lévinas – il “faccia a faccia”, l’essere una di fronte all’altra delle due letture non è un discorso solo accademico, ma “teologico” nel senso pieno, perché il discorso finora fatto sembrerebbe avallare l’esistenza di due vie salvifiche: la via ebraica senza Cristo e quella cristiana con Cristo e questo “metterebbe di fatti a repentaglio le basi della fede cristiana. Confessare la mediazione salvifica universale e dunque anche esclusiva di Gesù Cristo fa parte del fulcro della fede cristiana tanto quanto confessare il Dio uno e unico, il Dio di Israele che, rivelandosi in Gesù Cristo, si è manifestato pienamente come il Dio di tutti i popoli...”18. Di fronte a questo dilemma, la stessa TB si troverebbe, in qualche modo, davanti a una strada senza uscita.

Il problema era stato evidenziato già da Norbert Lohfink, il quale – già una ventina di anni fa – si domandava: la via della salvezza si è biforcata? “L’una è la strada, che egli ha previsto per il suo antico popolo di elezione, l’altra è la strada che egli ha previsto per le altre nazioni, per i pagani, e che ha loro trasmesso attraverso quell’anello di congiunzione costituito da un gruppo di giudeo-cristiani...”19? L’una è la strada del Dio unico, l’altra è la strada di Gesù messia, figlio del Dio unico? Provocatoriamente poi l’esegeta tedesco continuava, scrivendo: se per Jhwh, Israele è – e rimane – la sua sposa amata, Dio vuole forse “essere poligamo? La risposta a questa domanda non è semplice, ma una cosa è chiara: la risposta non può più essere quella che i nostri padri hanno rappresentato nei portali delle cattedrali gotiche: qui, come sposa superba, la ‘chiesa’ e là, come sposa ripudiata e desolata, la ‘sinagoga’, con gli occhi bendati, anche se ancora raffigurata nella sua bellezza e dignità”20. La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, nel documento citato, dichiara da una parte che la chiesa e l’ebraismo non possono essere presentati come due vie di salvezza in quanto la chiesa confessa che Gesù è il mediatore universale (cf. At 4,12) e dall’altra “il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile” (n. 36). E continua: “Qui ci troviamo davanti al mistero dell’agire divino, che non chiama in causa sforzi missionari volti alla conversione degli ebrei, ma l’attesa che il Signore realizzi l’ora in cui tutti saremo uniti, “in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce...” (n. 37). Possiamo andare oltre queste affermazioni della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo? Forse sì, e penso anche che questo è uno dei compiti più impegnativi che sta davanti a noi, donne e uomini di TB!

Bibliografia

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[recibido: 25/01/2018 – aceptado: 10/01/2019]


1 Questo articolo è una rielaborazione della conferenza tenutasi durante la giornata di studio “La Teologia Biblica oggi: l’Uno e l’Altro Testamento” che è stata organizzata dal Dipartimento di Teologia Biblica della Pontificia Università Gregoriana (Roma) il 10 maggio 2017. Un’altra conferenza di quella giornata (pronunciata da G. Fischer) è stata già pubblicata in RevBib 79 (2017) 277-289.

2 Gabler, De iusto discrimine theologiae biblicae et dogmaticae regundisque recte utriusque finibus, Altdorf 1787.

3 Eco, Il nome della rosa.

4 Lyotard, La condition postmoderne.

5 Tra le numerosissime opere, citiamo Bauman, Liquid Modernity.

6 Quest’espressione riprende il titolo dell’opera di P. Beauchamp, L’un et l’autre Tes­tament. Essai de lecture, Paris 1976 (ed. it. a cura di L. Arrighi, Brescia 1985); id., L’un et l’autre Testament, 2. Accomplir les Écritures, Paris 1990 (tr. it., Glossa, Milano 2001). In questi volumi l’Autore espone il suo progetto di TB che ha proprio come idea direttiva l’articolazione dei due Testamenti.

7 Faini Gatteschi, Il libro e l’uomo, 45-46.

8 Bertuletti, “Esegesi biblica e teologia sistematica”, 133.

9 Ad esempio, in Childs, Biblical Theology of the Old and New Testaments.

10 Kasper, La teología a debate, 122.

11 Zenger, “Thesen zu einer Hermeneutik”, 152-154.

12 Si veda Grilli, Quale rapporto, 2007; id., Scritture, alleanza e popolo di Dio, 2014.

13 Zenger, Il primo Testamento, 157.

14 Id. (ed.), Introduzione, 25.

15 Commissione per i Rapporti Religiosi con LEbraismo, Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”, n. 31.

16 Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico, n. 22.

17 Così Dohmen, “Probleme und Chancen”; id., “Die Prae-Position der Bibel Israels”, in Dohmen – Stemberger, Hermeneutik, 171-175.

18 Commissione per i Rapporti Religiosi con LEbraismo, Perché i doni..., n. 35.

19 N. Lohfink, L’Alleanza mai revocata, 88.

20 Ib., 90.